Prima squadra

Terzo anno di fila in C, il peggiore: ecco i motivi

L'analisi

13.05.2024 08:18

Probabilmente l'eliminazione era solo questione di tempo, ma abbandonare i playoff così fa ancora più male. Ma non si può parlare di troppi rimpianti, perchè il Pescara 2023-24 non ha mai dato l'impressione di poter essere realmente competitivo per provare a completare la scalata verso la serie B. Tuttavia era comunque lecito attendersi qualche passo in più nella maratona per la promozione, tanto più che nel secondo turno la squadra di Cascione aveva – come nel primo – fattore campo e due risultati su tre a disposizione per qualificarsi. Colpito a freddo come con il Pontedera, stavolta il Delfino non ha avuto la forza di ribaltare il match o anche solamente di raddrizzarlo, pur avendone la possibilità. L'interpretazione della partita è stata da censura, favorita anche da alcune scelte iniziali della panchina che ha poi impiegato quasi 70 minuti per provare a cambiare l'inerzia del match, senza riuscirci. L'eliminazione di sabato sera, però, affonda le sue radici più lontano nel tempo, non nel match contro una Juventus Next Gen che ha pienamente meritato il passaggio del turno a coronamento di un 2024 super della giovane truppa bianconera, passata nel girone di ritorno dai bassifondi della graduatoria al miglior piazzamento della sua storia. L'amaro epilogo di questa terza stagione consecutiva in C, la peggiore del triennio, è nato in estate quando la rosa è stata allestita. La base della formazione che aveva sfiorato la finale playoff, eliminata solo alla lotteria dei rigori ad oltranza con il Foggia, è stata smantellata e poi non adeguatamente ricostruita. Rafia e Lescano, i trascinatori dello scorso anno, erano impossibili da tenere ma non sono stati sostituiti, come altri elementi (vedi Palmiero e Kraja). Senza un vero regista (Squizzato ha dimostrato di non esserlo) e senza un centravanti in grado di finalizzare il gioco (il generosissimo Cuppone è stato adattato) era chiaro che non si potessero cullare veri sogni di gloria. Se il progetto iniziale era quello di provare a tornare in cadetteria, la missione è stata miseramente fallita. Se, invece, era incentrato sulla valorizzazione di giocatori poi da rivendere, da Dagasso a Merola passando per Plizzari ed altri, allora il bersaglio è stato centrato. Ma entrambi gli obiettivi potevano essere perseguiti contemporaneamente. Le lacune strutturali, da sempre evidenti, erano state mascherate da un avvio sprint con Zeman in panchina, ma il promettente inizio è stato un vero fuoco di paglia. Ben presto sono emersi i reali valori di un gruppo che a gennaio non è stato ritoccato in meglio e che ha visto l'arrivo di un giocatore come Meazzi, valido ma non adatto al contesto, e quello di Sasanelli, giovane promettente ma non certo ancora il bomber che sarebbe servito (ha sostituito Tommasini, attaccante di categoria mai realmente sfruttato prima dell'addio). A ben vedere, i 41 punti totalizzati da Zeman in 27 partite sono stati un autentico capolavoro dato il materiale tecnico a disposizione. Probabilmente anche se il tecnico boemo, che ieri ha compiuto 77 anni, fosse rimasto in panchina le cose non sarebbero cambiate poi molto, ma di certo la lenta agonia fino alla conclusione sarebbe stata meno amara. La scelta Bucaro si è rivelata nefasta, l'arrivo di Cascione ha ridato qualche certezze ma non si poteva pretendere molto di più di quanto fatto da un novizio della panchina, al primo anno tra i professionisti, chiamato al capezzale di un malato cronico che probabilmente solo il Demiurgo di Praga avrebbe potuto mantenere in condizioni stabili. O, almeno, accettabili. 


 


 


 


 


 

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