QUESTIONE DI LEADERSHIP
L’autoefficacia dipende molto dai risultati va gestita e regolata dall’esterno, dal leader (l’allenatore in primis), che diventa soprattutto motivatore
Momento duro, durissimo per il Pescara. Da dove trae origine? Come lo si affronta e, possibilmente, risolve? Proviamo a spiegarvelo grazie al dott. Pietro Literio e alla sua rubrica "Calciologicamente", che da tre stagioni trova spazio su PescaraSport24.
Buona lettura!
Male la prima! “Non ha funzionato la Testa… con questa paura è difficile fare tutto… siamo entrati con paura, e la responsabilità è mia.. occorre ritrovare la serenità mentale!” (Epifani docet). Come dargli torto?
Insomma, colpa dell’atteggiamento remissivo, timido del Pescara. “Più ragazzini che uomini in campo” (ha dichiarato Brugman). Forse colpa dell’eccesso di responsabilità che i giocatori si sono messi sulle spalle, cercando di risolvere la crisi e vincere subito? Può anche essere.
Certamente, non c’è modulo che tenga di fronte “alla testa che non è a posto”, considerando che “non esiste la bacchetta magica” (come dichiarato da Leone nel post-partita). Quindi, solo ritrovando la forza mentale si torna a far bene. Iniziando a decolpevolizzare i giocatori (come ha già fatto Epifani).
Peccato che l’obbligo crescente di tornare a fare punti subito e presto alimenta le paure: “abbiamo poco tempo, dobbiamo far capire a tutti che abbiamo poco tempo, dobbiamo cambiare il nostro spirito in poco tempo e fare risultato a tutti i costi” (sempre Leone nel post-gara).
Ma come si fa a cambiare subito? Facendo quadrato intorno all’allenatore e alla squadra? Può darsi, ma non basta. Risollevando l’autostima dei biancazzurri, per mancanza di risultati (come ha accennato mister D’Aversa)?
No: perché si tratta in questo caso di Autoefficacia, ovvero della CONVINZIONE profonda dei singoli giocatori di farcela in campo (situazione specifica), che è ben diversa dall’autostima (il giudizio generale sul loro valore come persona).
Dalle convinzioni profonde dei giocatori (che sono specifiche per ogni situazione) dipende poi la loro motivazione e prestazione in campo: quella che vediamo o percepiamo come fame, voglia di lottare, di vincere i contrasti, di andare su ogni pallone, di osare e inventare, fino a giocare in avanti con coraggio (rischiando), invece che indietreggiare.
Certamente l’autoefficacia (sportiva) dipende molto dai risultati (i successi), ma in un periodo di crisi (insuccessi) va gestita e regolata dall’esterno, dal leader, l’allenatore (in primis), che diventa soprattutto motivatore.
A riguardo, le parole lucide di Epifani vanno nella giusta direzione: “devo essere io bravo a capire dove intervenire (diagnosi) e cosa cambiare (terapia)”.
Ma come si lavora sull’autoefficacia dei giocatori in crisi? Cosa dovrebbe fare un allenatore motivazionale o un leader autorevole? Innanzitutto, trovare l’assetto tattico in campo più adatto ai propri giocatori, scegliendo ora quelli con più “forza mentale” o, se volete, che mostrano meno limiti di personalità di fronte alla crisi (meno paura/ansia e più fame, più resilienza ed esperienza).
Allo stesso tempo, conoscendo profondamente ogni giocatore, con la propria creatività, personalità ed esperienza, dovrebbe “toccare le corde giuste”, fornendo stimoli personalizzati ad ognuno per accrescere la loro Convinzione (coraggio) e Motivazione (fame di tornare a vincere, di farcela, di lottare fino all’ultimo e su ogni pallone).
In altre parole, dovrebbe costruire ai singoli giocatori (e alla squadra) delle sfide “su misura”, sostenibili (trasformando così la loro paura in aggressività), tenendo sempre presente che l’autoefficacia e la motivazione dei giocatori stessi hanno un effetto moltiplicativo poi sulla loro prestazione in campo. I giocatori in partita così più convinti, più motivati, che lottano di più, si danno anche l’esempio e forza a vicenda.
Inoltre, è importante che l’allenatore-leader protegga il gruppo e lo spirito di gruppo (già costruito) che durante la crisi può incrinarsi e regredire a fasi precedenti (ad es. di “storming” o conflittualità, anche latente).
Senza dimenticare di isolare il più possibile la squadra dal contesto ambientale (conflitti societari, la contestazione dell’ambiente), magari anche con un ritiro costruttivo e non punitivo, pur continuando a far da “collante” tra squadra, ambiente e società. In ultimo, è necessario che il “CASO” (ovvero la fortuna) faccia anche la sua parte.
Certamente, per fare tutto questo l’allenatore autorevole deve avere le “spalle grosse”, un’elevata autoefficacia, ovvero essere prima di tutto convinto profondamente di Sé, oltre che dei suoi giocatori, per trasmettere loro la sua forza.
Solo così, con l’esempio, con il proprio comportamento e le sue scelte, l’allenatore autorevole può “maieuticamente” tirar fuori il coraggio e la fame dai suoi giocatori. Sarà Epifani il leader autorevole, trascinatore, sicuro di sé, la persona giusta a gestire la crisi biancazzurra? Alle prossime partite l’ardua sentenza, ricordandoci sempre che il coraggioso è quello che pur avendo paura la supera, a partire dal leader.
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