Rubriche

“Doppia Vittoria: caso, coincidenza o crescita?”

29.10.2015 13:27
Nuovo appuntamento con la rubrica di PescaraSport24, “Calciologicamente”. Un punto di vista diverso da quello consueto sulle vicende biancazzurre affidato al dott. Pietro Literio, che anche in questo numero dello spazio da lui curato analizza il momento del Delfino in modo del tutto peculiare.  Psicologo-Psicoterapeuta e Docente a Contratto presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio di Chieti-Pescara, Literio ci fornisce un quadro interessante. Buona lettura! Prima la vittoria con il Trapani (la seconda migliore difesa del campionato che non perdeva una partita ufficiale dall’11 luglio), poi la vittoria con la Pro Vercelli in casa, in cui il Delfino è stato superiore in tutti i numeri e in tutte le statistiche (possesso palla, tiri, palle giocate, corner, azioni d’attacco). E’ piuttosto piacevole vedere e godere del gioco del Pescara in campo ultimamente anche se il tifoso, esigente di natura, vorrebbe che la squadra e i giocatori non sbagliassero mai durante la partita. Colpisce anche il sacrificio in campo (vedi Caprari che fa su e giù per il campo aiutando spesso in difesa), con i giocatori e i reparti che si aiutano sempre più per l’obiettivo essenziale di vincere, possibilmente divertendosi (come chiede l’allenatore stesso alla squadra). Si inizia a intravedere “l’effetto Campagnaro” che da sicurezza in difesa: zero gol subiti nelle ultime due partite in cui è stato titolare, sfatando il tabù del delicato ultimo quarto d’ora come momento “a rischio gol” per il Delfino. A questo punto può “rimarginarsi la ferita” relativa a Salamon (il “tradimento” dell’ultima ora vissuto dall’ambiente) ed è quindi possibile “elaborare il lutto” grazie al suo degno sostituto: un Campagnaro non ancora del tutto in condizione ma già autorevole ed efficace in campo. Insomma, il Delfino vince e convince, prima di tutto se stesso. Un gioco sempre più di squadra, dove tutti sono indispensabili e orientati allo stesso obiettivo, quello di vincere: “uno per tutti e tutti per uno”. Pur cambiando alcuni interpreti nella squadra, anche con la Pro Vercelli, la musica è rimasta la stessa di Trapani. La totalità (la squadra e il gioco piacevole e vincente espresso dal Pescara) è risultata, di nuovo, più della somma delle singole parti (i vari giocatori in campo). Basta parafrasare alcune dichiarazioni di Oddo a sostegno di tale tesi: “La squadra mi segue, anche troppo” e ancora “chiunque entra fa bene e la qualità del gioco non cambia”. Come è possibile che ciò accada? Possiamo farci aiutare da alcuni concetti importanti, spesso utilizzati in psicologia, che contribuiscono a farci comprendere meglio il percorso del Pescara (e le sue prestazioni come squadra, come “NOI”): si tratta dei concetti di COESIONE e INTERDIPENDENZA all’interno del gruppo-squadra, collegati in particolare al TIPO DI LEADERSHIP dell’allenatore (Oddo in questo caso). Partiamo dalla seguente riflessione: spesso si fa l’errore di considerare il gruppo-squadra già costruito, piuttosto che in costruzione. Il gruppo-squadra non è qualcosa che esiste a priori, ma ha una sua vita, una sua storia e delle sue dinamiche specifiche. Nella costruzione di un gruppo (squadra), la fase iniziale (formativa) in cui i membri (giocatori) “tastano il terreno” per capire come comportarsi (e quale è il compito da svolgere) è importantissima, con i comportamenti dei giocatori e del gruppo che dipendono molto dal leader-allenatore. E grazie a un buon lavoro in questa fase (“formativa”) da parte dell’allenatore (leader) che si possono vivere e affrontare i conflitti all’interno del gruppo (tra i membri-giocatori e anche tra i giocatori stessi e il leader-allenatore) e arrivare alla fase della “prestazione” in cui il gruppo è maturo e può concentrarsi sul compito (la prestazione sportiva e obiettivo della vittoria), avendo instaurato e creato l’interdipendenza (o senso di appartenenza): ovvero l’equilibrio tra i bisogni personali dell’individuo-giocatore e quelli del gruppo-squadra (giungendo così all’integrazione). Nell’interdipendenza tutto ciò che riguarda il gruppo (squadra) riguarda ogni componente (giocatore) del gruppo: ovvero il singolo componente/giocatore interpreta la situazione di gruppo in termini di benessere comune (“NOI”) in cui “il potere di ognuno accresce il potere degli altri e viceversa” ed il conflitto è normale, fisiologico (in quanto dimostra la vitalità del gruppo), mentre il cambiamento è un valore positivo. Invece, non vi è senso di appartenenza al gruppo quando il singolo giocatore interpreta la situazione di gruppo in termini di benessere personale, pensando solo per se e essendo concentrato più su di sé (in altri termini prevale in ognuno la parola “IO”). Ma quali sono le caratteristiche che un buon leader (l’allenatore) deve avere per creare interdipendenza (o senso di appartenenza) e produrre effetti positivi sul clima psicologico, sul funzionamento del gruppo e sugli obiettivi che esso persegue? Quale è lo stile di leadership più efficace a creare senso di appartenenza e quindi coesione (il “NOI”), aiutando così a vincere? Diciamo che gli “stili di leadershipsono grossolanamente di tre tipi: 1) “autoritario” in cui l’allenatore è autocratico, stabilisce e assegna i compiti autonomamente, loda e critica senza spiegare i criteri di giudizio ed è indifferente alla vita del gruppo, 2) “permissivo” in cui l’allenatore fa l’amico e ha un ruolo più passivo, lasciando al gruppo completa libertà, dando la propria disponibilità a intervenire solo se richiesto e non interferendo e non valutando l’attività del gruppo, 3) “democratico” in cui il leader incoraggia e stimola il gruppo a prendere decisioni, vigila sul lavoro e funge da consigliere, spiegando chiaramente i criteri adottati per le lodi e le critiche e cercando di essere un membro del gruppo-squadra. In tal caso, i comportamenti tendono ad essere cooperativi e i giocatori sono poco dipendenti dall’allenatore, in un clima amichevole. Sembra proprio che possiamo “classificare” il nostro mister Oddo più in quest’ultima tipologia, con il gioco e i risultati ottenuti che confermano tale ipotesi. Inoltre, un allenatore “efficace” deve avere alcune altre caratteristiche di personalità “ideali”: ovvero essere capace di analizzare i dati relativi alle situazioni (partite ed allenamenti) e saper individuare con prontezza i problemi e le possibili soluzioni (come il nostro mister dimostra con i cambi spesso “azzeccati”). Ma soprattutto deve essere ALTRUISTA, disponibile, e saper individuare i bisogni dei singoli giocatori e motivarli (con nuovi obiettivi e sfide verso cui farli puntare), oltre a saper controllare le proprie emozioni ed evitare possibilmente l’aggressività. Tali caratteristiche naturalmente rispecchiano un leader “ideale” che difficilmente si trova nella realtà, anche se il “nostro” Oddo ci si avvicina sempre più. Tuttavia, il grado di “COESIONE” di una squadra (cioè la tendenza a stare/lavorare insieme, a cooperare e a rimanere uniti per raggiungere gli obiettivi stabiliti, il “NOI”) dipende non solo dal lavoro dell’allenatore (e in particolare dal suo tipo di leadership) ma anche da altri fattori, classificabili in Ambientali, Personali e di Squadra. Tra i fattori AMBIENTALI troviamo le pressioni e aspettative costanti da parte dell’ambiente, la vicinanza fisica in campo e fuori dal campo tra i giocatori, gli obblighi contrattuali o doveri dei singoli giocatori, le dimensione del gruppo (ad es. nei gruppi moderatamente numerosi tende a prevalere la coesione sociale, attraverso lo sviluppo di forti relazioni sociali). Tra i fattori PERSONALI troviamo le somiglianze di personalità, socio-culturali e motivazionali tra i giocatori di una squadra: infatti, la squadra risulta più coesa quanto più i giocatori sono simili tra loro e nel grado di soddisfazione di ognuno in relazione al compito/obiettivo (di vincere). Tra i fattori di SQUADRA troviamo, ad esempio, il successo della squadra (e la sua storia di successi/insuccessi), poiché “vincere stimola a stare insieme”, ma troviamo anche il numero di anni di appartenenza alla squadra (che favorisce la coesione), e troviamo anche il famoso “turnover”: infatti, se è troppo frequente crea problemi nella formazione di un nuovo gruppo e alla struttura di base della squadra, e quindi a quel “patrimonio di rapporti interpersonali e di competenze dei giocatori” (soprattutto se in costruzione). Insomma, le variabili in gioco nella costruzione del senso di appartenenza, della coesione di un gruppo-squadra (“uno per tutto e tutti per uno”) sono diverse, e soprattutto in un rapporto tra loro “circolare” (ognuna, allo stesso tempo, è causa ed effetto dell’altra) e “dinamico” (ovvero in continuo cambiamento nel rapporto tra loro nel corso del tempo). Infine, è importante far attenzione, nelle dinamiche di un gruppo ancora in costruzione (ma ben avviato come quello del Delfino) al fenomeno possibile del “capro espiatorio” (da evitare) in rapporto all’ambiente (tifosi e media): mi riferisco al “caso Cocco” che ci si aspetta faccia la differenza con i suoi gol. Infatti, il “capro espiatorio” di solito serve a mantenere e salvaguardare l’unità del gruppo-squadra anche nel rapporto con l’ambiente circostante: serve al gruppo a difendersi di fronte alle critiche provenienti anche dall’ambiente esterno (tifosi e media), permettendo di sfogare l’aggressività, ma in modo non costruttivo poiché viene così minacciata la coesione della squadra stessa (il “NOI”) e quella tra squadra ed ambiente. Concludo con una riflessione tipica della “psicologia transazionale” a me cara: la vittoria a Trapani può essere considerata un “caso”, quella in casa con la Pro Vercelli una “coincidenza” ma se il Pescara a breve si ripeterà allora sarà una conferma della sua crescita in corso e del suo “entrare sempre più in forma”: a quel punto non sappiamo dove la squadra potrà arrivare. Certo è che “vincere aiuta a vincere” e a convincersi che si è capaci di vincere. Forza Pescara, anche se a quel punto forse non servirà più dirlo alla squadra e servirà più ai tifosi per gioire!

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