I 50 anni di Re Federico. Giampaolo racconta il suo Pescara
"Pescara? Il culmine del mio percorso calcistico"
Quarto nella classifica delle presenze di tutti i tempi con 257 partite ufficiali. Secondo nella classifica marcatori più prolifici di sempre con 65 reti, dietro l’inarrivabile Tontodonati (120). Lo scorso 3 marzo Federico Giampaolo ha compiuto 50 anni, ma per i tifosi del Pescara sarà sempre “Re Federico”, il talento allo stato puro che ha fatto impazzire per anni l’Adriatico (1994-1997, 1999-2001, 2002-2005).
“E’ la squadra con cui ho giocato di più in carriera – ci racconta Giampaolo dalla sua casa a Bari – . Lì ho lasciato, e mi hanno lasciato, bellissimi ricordi. Il culmine del mio percorso calcistico, considerando che ho iniziato a 18 anni e finito a 40 e in biancazzurro ho giocato per otto stagioni lì”. Tutto comincia nel 1994. “Arrivai dopo l’anno di Palermo, prima che entrasse in vigore la legge Bosman: all’epoca si pagava il cartellino anche per gli svincolati e i siciliani chiedevano parecchio per il mio, quindi rimasi fermo durante l’estate. Feci il ritiro da solo, a Giulianova. Andrea Iaconi venne da me con Rumignani per capire come stessi fisicamente. Il mister era titubante, il direttore gli disse: “Se lo rimettiamo a posto fisicamente, è un gran colpo”. Così arrivai a Pescara per ricominciare un po’ daccapo, dopo le prime esperienze in A con Verona e Bari e quella di Palermo in B: dovevo dare una svolta alla mia carriera perché rischiavo di restare fermo. Da quel momento, al Pescara ho dato il massimo, in tutti i sensi: dopo tre anni fui ceduto al Genoa per 5 miliardi. Credo di aver ripagato la fiducia di tutti”.
Il ricordo più bello con il Delfino? “La promozione in B del 2003, molto bella e vissuta tutti insieme, anche con i tifosi. Ma ne ho anche tanti altri”. Il più brutto? “Forse la retrocessione in C con Simonelli, nel 2005. Facemmo il ritiro al Promenade e ci allenavamo al Vestina. Ma la squadra non era all’altezza, avevamo tanti giovani, con me e Palladini. Partimmo bene, ma la B è lunga e faticosa. Non ce la facemmo. Una dota dolente per noi, ma le colpe non furono solo dei giocatori. Altra delusione con Oddo: alla fine del girone d’andata eravamo primi in classifica dopo aver vinto a Salerno. Potevamo andare in A, ma nel ritorno l’obiettivo ci sfuggì. Stesso discorso nel campionato successivo, con Delio Rossi: fu un Pescara strepitoso, ma la rosa era un po’ corta…”. Il gol più importante? “Ne ricordo due. A Salerno, nel 1996, e contro il Palermo, in casa, nel 1997. Entrambi di altissimo livello, partendo di centrocampo e arrivando in porta”. E quello mancato che avrebbe potuto cambiare la storia? “Un attaccante segna, ma sbaglia anche tanto, è giusto ricordarlo. Mi torna in mente la partita contro l’Avellino di Zeman, nel 2004: eravamo in superiorità numerica, mi mangiai due gol allucinanti e perdemmo 3 a 2. E alla fine retrocedemmo in C”.
Re Federico ha un rimpianto. “Sì, ce l’ho: non aver potuto indossare la maglia del Delfino in serie A. L’abbiamo sfiorata due volte. Eravamo giovani e una promozione poteva cambiarci la carriera. Dinamiche particolari, mancanza di fortuna: fatto sta che non ci riuscimmo, ma ce lo meritavamo. Gente come me, Palladini e Gelsi meritava qualcosa in più, dopo aver dato tanto alla maglia biancazzurra”. Ha segnato 120 gol nei professionisti: quali gli sono rimasti impressi? “A Bari in A ero giovanissimo. Nel derby a Foggia, contro Zeman: il mio primo gol. E poi a Salerno, sempre in A, ricordo un gol a San Siro al Milan, e altri contro la Roma e contro l’Inter. Momenti che ri restano impressi”. Se avesse giocato nell'era dei social, con le sue magie forse Giampaolo avrebbe fatto impazzire i calciofili del mondo intero... “E’ vero, a livello mediatico, ci sono i social, le tv. Il lavoro del calciatorie viene valoirzzato molto di più. E’ cambiato tutto. E’ una cosa positiva. E’ giusto che la tecnologia vada avanti, se ci fosse stata all'epoca avremmo avuto sicuramente una risonanza superiore”. Chi è stato l'erede di Giampaolo nel Pescara? “Mauro Esposito, ma dopo di lui non ne ho più visti con quella fantasia e capacità di dribblare. C’è stata un'evoluzione tattica, ora è difficile vedere la giocata estrosa di un fantasista. Oggi tutti sono mentalmente inquadrati. Servono sfrontatezza e personalità per fare cose al di fuori della norma. In A qualche talento c'è, ma B ormai è una rarità. E' cambiato il modo di giocare”. Oggi allenatore in serie D, 4° con la Recanatese al momento dello stop. Stagione finita per i dilettanti? “Non lo sappiamo ancora, in serie A e nei professionisti, con il giro di soldi che c’è, penso che riapriranno con le dovute cautele e finiranno la stagione. Nei dilettanti è diverso. Quando sei nei professionisti non ti rendi conto di cosa ci sia sotto. In D invece capisci quanto sia dura: è la base del calcio, con oltre 4mila giocatori, senza pensare a staff e dirigenti. Ricominciare? Solo con le precauzioni giuste. Sarà difficile, e mi dispiace. Tanti ragazzi di questa categoria, che non hanno ingaggi faraonici, dovrebbero essere maggiormente protetti”.
DA IL MESSAGGERO ED. ABRUZZO
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