"Saudade dei tempi andati!" - Il Delfino Rampante racconta...
L'apprezzata rubrica di PS24
Si mescolano storia e calcio, presente e passato nel nuovo, originalissimo appuntamento con il Delfino Rampante… Buona lettura!
Il primo gennaio si trovarono di fronte un paesaggio selvaggio e incontaminato. Era Capodanno. Era l'anno 1502. Una spedizione portoghese guidata dall'esploratore Gaspar de Lemos, della quale faceva parte anche l'italiano Amerigo Vespucci, attraversò l'Atlantico scavallando l'equatore. Quella linea immaginaria che corre lungo tutto il Pianeta e divide l'emisfero australe da quello boreale.
Si accorsero di quanto il mondo sia meraviglioso, per citare i Negramaro o Modugno se preferite, anche al di là di luoghi finora conosciuti e familiari. Anche al di là di quella siepe leopardiana, insomma, oltre la quale si aprono interminati spazi e sovrumani silenzi.
C'era una baia. Immensa. Un incredibile specchio d'acqua calmo e gentile. Che sembrava quasi un porto sicuro dopo un lunghissimo e pericoloso viaggio attraverso l'Oceano atlantico.
Una baia circondata da una foresta altrettanto immensa. Il polmone verde del mondo. C'era una baia, dicevamo. Ma loro erano inconsapevoli si trattasse di mare. La scambiarono per un fiume, quella baia. Per la foce di un grande rio. Rigorosamente in idioma portoghese.
Quella foresta era l'Amazzonia. Quell'insenatura di Atlantico, quella baia, scambiata per un gigantesco corso d'acqua, la ribattezzarono il fiume di gennaio, dalla data - il primo gennaio di 522 anni fa - del loro approdo. Erano per lo più portoghesi. E quindi, da quel momento, quella parte di mondo, prese il nome di Rio de Janeiro. Ecco quindi che, magicamente, il fiume di gennaio lusitano diede origine al toponimo di una delle città più meravigliose e contraddittorie del pianeta Terra. Rio, capitale del Pau Brasil o Pernambuco - "albero bracile" che consegnò i natali proprio al nome Brasile - fino al 1960 quando il suo posto venne preso da Brasilia.
Rio de Janeiro. Primo aprile 1958. Sembra uno scherzo del destino ma non lo è. Nonostante il calendario. Qui nasce tale Milton Queiroz de Paixão. Un nome lungo lungo tipico del Paese dell'eterno dualismo tra l'essere carioca o l'essere paulista. Nome lungo lungo che, ai più, appare quasi sconosciuto.
Quel brasiliano era un verdeoro atipico. Non soffriva di saudade, quell'atteggiamento di nostalgico rimpianto, ritenuto caratteristica spirituale del popolo brasiliano. Quel carioca girò l'Europa. Il Nord Europa. Ma, verso la fine degli Anni '80, arrivò sulle rive di un altro fiume. Questa volta un vero rio. Più piccolo. Meno famoso. Ma altrettanto legato a doppio filo con i suoi abitanti. Come dire: il fiume è dentro di noi, il mare tutt'intorno a noi, chiedendo l'ausilio di Thomas Stearns Eliot, poeta britannico celebre per "The waste land" o "La terra desolata" se preferite l'italiano all'inglese.
Quel "secondo" fiume era il Pescara. E quel ragazzo del '58 con il nome lungo lungo che giunse in riva all'Adriatico, viene da tutti conosciuto e riconosciuto con il diminutivo di Tita.
Che 35 anni e qualche ora fa, era il 19 febbraio 1989, fece impazzire la Roma di Liedhlom, Voeller, Rizzitelli e Giannini.
Era il Pescara allenato dal profeta Galeone. Che in mezzo al campo si affidava ad un altro campione verdeoro di nome Leovegildo Lins da Gama Júnior, o semplicemente Junior. Era il Pescara, tra gli altri, di Pagano, Berlinghieri e Gasperini. Ma soprattutto di Tita che quella domenica all'Olimpico, ne rifilò tre alla Roma. Era un Pescara che arretì i giallorossi e si conquistò gli olè del pubblico dell'Olimpico ad ogni passaggio. Ad ogni azione.
Quegli olè che, purtroppo, non riusciamo più ad ascoltare per il Pescara di oggi che, tra mille difficoltà e un turbinio di eventi imprevisti, ha beccato quattro reti anche a Pesaro, uscendo con le ossa rotte ed anche di più dallo stadio "Benelli". Tre sconfitte di fila. 10 gol subiti in 270 minuti 8 reti al passivo nelle due trasferte giocate nel giro di 9 giorni. Solo un gol fatto, inutile ai fini del risultato e dei punti.
Ci sono le cosiddette attenuanti a tutti note legate alla guida tecnica, certo. Ma questo non può essere un alibi per una squadra apparsa scarica, senza mordente, in balia degli avversari e degli eventi. Incapace di reagire alle avversità che si sono via via presentate.
Intanto, dopo tanto parlare, si è deciso di confermare Bucaro in panca - promosso da vice a primo allenatore - per sostituire Zeman impossibilitato a continuare la guida tecnica per i noti motivi di salute (a proposito un grande in bocca al lupo mister). La piazza, inutile nasconderlo, si aspettava ben altri ribaltoni. Che non ci sono stati.
Ora tocca al neo tecnico palermitano - in prima persona - condurre in porto la stagione conquistando l'obiettivo minimo, ovvero i play off. Certo, non sarà facile. Tutt'altro. Ma allenatore e giocatori hanno l'obbligo di invertire velocemente la rotta, risollevarsi e risollevare un ambiente giustamente sfiduciato.
"Io era giunto dove giunge chi sogna; chi sogna, ed apre bianche vele ai venti nel tempo oscuro". Lo scriveva Pascoli descrivendo la Trinacria, terra d'origine del tecnico biancazzurro. Ha l'obbligo di scacciare questo tempo oscuro e regalare alla città sogni e speranze, Bucaro. Per se stesso ma soprattutto per la piazza di Pescara.
Intanto, per un momento solo, addolciamo il triste presente calcistico, ricordando il nostro brasiliano senza saudade che, in quella Serie A, fece impazzire entrambe le sponde dell'Olimpico segnando tre gol alla Roma e due alla Lazio.
Il fiume e il mare. La musica e il samba. Pescara e Rio. Storia di un carioca adottato da Ostia Aterni che, come narrava Rino Gaetano, "cantava le canzoni che sentiva sempre a lu mare".
Saudade dei tempi andati!
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