
Franco Oddo: "Un atto d'amore le non dimissioni di Massimo. E su Zeman..."
Nel nome di Oddo. Franco e Massimo. Insieme hanno stabilito un record: mai, prima di loro, un padre ed un figlio si erano seduti su una stessa panchina di un club professionistico. Un Franco Oddo senza peli sulla lingua. Oddo senior è tornato a parlare del figlio e dell'avventura biancazzurra di Massimo nella duplice veste di papà e di tecnico, ma nelle sue parole traspare molta sincerità e non una difesa d’ufficio del figlio. Lo ha fatto con la consueta disponibilità e la proverbiale schiettezza a Il Messaggero ed. Abruzzo di ieri. SU MASSIMO E LA SUA SCELTA: «Non lasciare il Pescara, dimettendosi, è stato un atto di coraggio. Ed è stato un atto d’amore verso la città. Pescara è la città nella quale mio figlio è nato, è cresciuto e dove ha mosso i primi passi nel mondo del calcio con la Renato Curi. Un altro allenatore, non legato a Pescara come lui, probabilmente avrebbe mollato prima, Massimo non lo ha fatto anche perché credeva fermamente di poter salvare questa squadra. E, in tutta onestà, ad inizio stagione ne ero convinto anche io. Un epilogo del genere ci sta nel calcio, esistono stagioni buone e meno buone, fortunate o sfortunate. Massimo ha provato grande amarezza e grande dispiacere per come è finita, pur sapendo che il calcio è così». L'ANNATA DA INCUBO: «Di certo è stato commesso qualche errore di valutazione della rosa ad inizio stagione ed è stato determinante. Anche nella precedente annata Massimo non aveva una squadra con le stigmate della grande, ma in corso d’opera i giocatori sono cresciuti ed hanno trovato autostima con i risultati. Quest’anno, invece, si è visto di tutto, cose davvero incredibili, dai rigori sbagliati a febbri prima delle partite passando per tantissimi infortuni. Non ha mai potuto schierare la stessa formazione, o quella che avrebbe voluto, non per scelta ma perché obbligato. Alla prova dei fatti, poi, la squadra allestita si è rivelata meno forte di quella che era salita in A, non c’era più un uomo da 30 gol come Lapadula ed un centrocampista, la cui partenza è stata a mio parere sottovalutata qui a Pescara, come Torreira. Era troppo importante nell’economia del gioco. Se poi aggiungiamo che i nuovi, pensiamo a Gyomber ad esempio, sono stati praticamente quasi sempre fuori, ecco che il quadro si completa. Massimo davvero pensava di poter compiere l’impresa. D’altro canto basta guardare la classifica e il cammino delle altre: l’Empoli ha 22 punti ed il Pescara 12, ribaltando il risultato dello scontro diretto avremmo i toscani a 19 ed i biancazzurri a 15. E quindi tutto sarebbe stato ancora aperto…» LA SCELTA DI ZEMAN: «Credo sia stata una scelta per pensare al domani, altrimenti in corso d’opera non ti rivolgi ad un tecnico che propone solo un tipo di calcio. In B in passato è stato un allenatore importante e può essere la scelta giusta, anche se il calcio si è evoluto, non è rimasto fermo ed ha riferimenti nuovi e diversi sia per la preparazione sia per il modo di mettere in campo le squadre. Zeman ha la mia stessa età, io però non alleno più da 10 anni… Il boemo ha dimostrato in passato di essere un grande allenatore, ma legato ad un solo modo di concepire il calcio. Un po’ come se un insegnante di Lettere insegnasse solo Carducci, dimenticandosi di Dante, Pascoli e degli altri autori: un tecnico moderno deve sapere insegnare ed applicare più moduli, deve essere lui ad adattarsi al materiale tecnico che ha e non viceversa. Ancora adesso sento dire in giro che non ha una squadra zemaniana…».
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