Pagano racconta Pagano
"La prima A col Gale fu una cosa fuori dal normale"
La più forte ala destra nella storia del Delfino, il giocatore che ha fatto sognare una generazione intera di pescaresi è tornato a parlare. Lo ha fatto a Tmw, in una bella chiacchierata con il collega Gaetano Mocciaro che vi riproponiamo integralmente:
Rocco Pagano è stato uno dei simboli del Pescara di Giovanni Galeone che nella seconda metà degli anni '80 si affacciava al calcio italiano, portando una ventata d'aria fresca. Una squadra che vinse la Serie B e centrò la salvezza nel massimo campionato, battendo Inter e Juventus. E proponendo un calcio propositivo, veloce, in antitesi con le convinzioni del calcio italiano dell'epoca, fatto di libero, catenaccio e contropiede. L'esterno destro fu uno dei più importanti interpreti e successivamente ha vestito le maglie di Udinese e Perugia. Smesso di giocare ha deciso di cambiare totalmente vita: è tornato proprio in Abruzzo e fa il rappresentante di vini. Il suo nome però è tornato in auge diversi anni fa grazie a un intervento a Controcampo di Paolo Maldini. Al quale gli venne fatta una domanda precisa: "Chi è il giocatore che ti ha fatto soffrire maggiormente?". La sua risposta spiazzò tutti: "Rocco Pagano". Una sorta di premio alla carriera per un'ala di grande talento che però non è riuscita a fare il salto in una big. Ai microfoni di Tuttomercatoweb lo stesso Rocco Pagano si racconta:
Rocco Pagano, oggi rappresentante di vini. Come mai questo cambio di vita?
"È capitato un po' per gioco. Ero a fine carriera nei dilettanti, e ho conosciuto delle persone che collaborano con la cantina Tollo. Non era una cosa a cui pensavo ma proprio loro mi hanno proposto di fare il rappresentante di vini a Pescara. Io ero scettico, ma loro stessi credevano che fossi tagliato per il ruolo. E alla fine ho deciso di iniziare questa avventura. Lavoro con i ristoranti e per fortuna hanno riaperto un po' tutti e la gente ha voglia di uscire".
Come mai non ha voluto rimanere nel mondo del calcio?
"Non mi è mai interessato, anche quando giocavo pensavo a fare il mio. Non ho nemmeno preso il patentino d'allenatore perché avevo già capito che era un altro mondo, diverso dal mio modo di essere. Figurarsi il calcio di oggi".
Cosa non le piaceva?
"Prima era più semplice, c'erano meno persone intorno e potevi rapportarti in un certo rapporto con la società. Ora ci sono 200 persone, è tutto schematizzato. Anche in campo, quando deve entrare un giocatore e c'è l'allenatore con i fogli che gli mostra cosa fare o meno".
Lei era un estroso, amava il dribbling. Rivede nel calcio di oggi qualcuno che le somiglia?
"Sotto questo punto di vista no, perché io giocavo larghissimo. E una volta l'ala faceva da metà campo in su. Potrei dire Cuadrado, ma è un giocatore che fa tutta la fascia, per cui è diverso. Io andavo sul fondo e mettevo in mezzo dove c'era il centravanti. Ora chi crossa dal fondo? Ora è tutto scambiarsi il pallone rasoterra".
Per un giocatore tecnico come Lei il calcio di oggi, fatto di atletismo, cosa significa?
"Adesso le squadre sono tutte vicine, nei 30 metri. Ai miei tempi cercavamo l'uno contro uno, ora è tutto meccanizzato, si muovono tutto assieme. Ed è una cosa che non mi piace, ormai c'è tanta fisicità e nessuno si prende la responsabilità. Se salti un uomo, cosa che già non succede, te ne trovi altri due vicini. E credo che sarà sempre peggio, perché la fisicità nel calcio non la toglierai più".
La sua carriera ha avuto una seconda vita dopo il famoso elogio a Controcampo di Paolo Maldini. Possiamo considerarlo un trofeo?
"Mi ha ridato degli anni di vita, di gioia. Sono passati più di 10 anni e ancora adesso, ovunque vada, la gente mi ricorda di quella frase di Maldini. È una cosa che mi è rimasta addosso, è come un trofeo. Peccato non averla vista dal vivo quella puntata: avevo visto che c'era e ricordo che già in una intervista precedente aveva parlato di me. Ero comunque andato a dormire prima. Il mattino dopo accendendo il cellulare ho letto 20-30 messaggi, avevo capito che Maldini aveva detto qualcosa su di me".
Come è cambiata la sua vita da allora? Ha poi incontrato di persona Maldini?
"Gli ho mandato un messaggio per ringraziarlo, ma non ci siamo mai incontrati. Volevano organizzare un incontro ma ho detto di lasciar perdere".
Ma davvero l'ha fatto impazzire così tanto?
"Quando abbiamo giocato contro il Milan abbiamo sempre preso delle imbarcate, non pensavo di averlo messo in difficoltà. Lui era velocissimo, ma lo ero anch'io e questo credo gli desse fastidio, perché lo costringeva a dare il 100%".
Chi è stato invece il terzino che l'ha fatta soffrire di più?
"In generale con lui soffrivo perché non la beccavo quasi mai. Io soffrivo quelli veloci. Mentre se trovavo un difensore che pur essendo tecnico non era veloce mi divertivo, tipo Brehme".
Cosa ha rappresentato per Lei il Pescara di Galeone?
"Rappresenta per me e i miei compagni un evento storico, ancora oggi a Pescara se ne parla. È stata un'avventura pazzesca, perché eravamo tutti giovani e con una squadra ripescata in B che sembrava condannata alla retrocessione siamo saliti in Serie A. Fu una cosa fuori dal normale, per rendere l'idea dell'impresa ricordo che facevamo le docce in albergo nel ritiro pre-campionato. Ma era tutto un ridere, eravamo tra amici. Ci frequentavamo, ci rispettavamo. E questo gruppo bellissimo ha dato vita a un'impresa".
Momento più bello?
"A Pescara si ricordano ancora tutti il 2-0 a San Siro contro l'Inter. Facemmo una partita pazzesca, la gente ci ha applaudito. E aggiungo la partita in casa con la Juve vinta per 2-0 con gol mio e di Junior".
Di quel Pescara c'erano due giocatori oggi fra i tecnici più quotati: Allegri e Gasperini. Si aspettava una carriera simile?
"Assolutamente sì. Gasperini in campo era il più vecchio e l'unico che aveva giocato in B della squadra ripescata. Era l'allenatore in campo. Allegri la stessa cosa, aveva sempre da dire la sua e Galeone lo prendeva in giro. Un altro è Bergodi che fa l'allenatore, era molto interessato al discorso tattico. Io invece quando si parlava di schemi me ne andavo. Ma ho avuto la fortuna di avere un tecnico come Galeone mi dava fiducia".
Rimpianti?
"Volevo giocarmela in una grande squadra. Quando nel 1987 vincemmo la B dovevo andare al Napoli di Maradona. Ma all'epoca non c'erano gli svincoli per cui non potevo liberarmi e non se ne fece nulla. Per il resto sono strafelice di quello che ho fatto".
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