I grandi abruzzesi dello sport: Gabriele Gravina
"Abruzzese d'adozione"
La Nazionale italiana andrà ai Mondiali del 2022 in Qatar. Gabriele Gravina, presidente della Figc (Federazione italiana gioco calcio), è pronto a metterci la mano sul fuoco: gli azzurri saranno ancora protagonisti. «Vogliamo regalare gioie ai tifosi italiani, ma», avverte il numero uno del calcio, «dobbiamo recuperare il nostro essere speciali, quella condizione che abbiamo dimostrato negli ultimi anni». Gravina, uomo di calcio, accademico e imprenditore, ne ha parlato di recente alla puntata di “Storie - Le Emozioni della Vita”, programma di Rete 8 in collaborazione con il Centro andata in onda martedì 14 dicembre con la regia di Antonio D’Ottavio.
Ecco cosa ha riportato il Centro della storia del numero uno del calcio italiano in un articolo di lancio del programma:
«Non ho mai ricevuto un’investitura e sono partito dalla Seconda categoria, dai campi di terra: ho respirato la polvere», racconta, «trent’anni fa non avrei mai immaginato di ricoprire questo ruolo ma a volte i sogni si avverano e io, ai sogni, ci credo».
PRESIDENTE EUROPEO Gravina, originario di Castellaneta in Puglia ma abruzzese di adozione, è il capo del calcio italiano, lo sport nazionale per eccellenza: la prima elezione il 22 ottobre del 2018 con il 97,20% dei voti, uno dei dati più alti nella storia; la conferma il 22 febbraio scorso; il 20 aprile è stato eletto anche nel Comitato esecutivo Uefa. È lui il presidente del trionfo europeo nella notte di Wembley, quella dell’urlo liberatorio insieme al presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Quella vittoria è stata una liberazione dopo due anni di pandemia, un’esplosione, una gioia che mancava da 53 anni. Quell’emozione è una delle pagine più belle del nostro calcio. Mattarella? Quando eravamo sotto di un gol, ci siamo guardati e gli ho detto: “Presidente, se facciamo gol vinciamo noi”». Ai rigori è stata dura anche in tribuna: «Siamo passati dalla depressione per l’errore di Jorginho alla gioia». Tra i grandi dell’europeo c’è un altro abruzzese: Marco Verratti. «Lo conosco da una vita, insieme a Insigne e Immobile in quella mitica formazione zemaniana del Pescara. Li ho visti crescere e sono stati pilastri della Nazionale: sono uomini della provincia sana, che si sono formati in Abruzzo e poi sono esplosi».
PROSSIMA SFIDA Per conquistare l’accesso ai Mondiali, servono altre due vittorie dopo i passi falsi delle qualificazioni, il 24 marzo contro la Macedonia e il 29 contro una fra Portogallo e Turchia: «Abbiamo gettato alle ortiche due jolly importanti, a Basilea e a Roma. Il percorso si è complicato ma auguro ai ragazzi di scrivere altri trionfi sulle pagine del loro libro della vita, un libro che contiene anche tensioni, amarezze e sconfitte ma è nei momenti decisivi che si possono scrivere le pagine più belle». La Nazionale in Abruzzo? «Tornerà quando la Uefa riconoscerà che ci sono le condizioni. L’Abruzzo è una regione che sa accogliere», dice Gravina che lancia un appello: «Confidiamo tanto nella capacità della classe politica regionale di creare i presupposti per ospitare ancora la Nazionale, lo merita l’Abruzzo e lo merita una città come Pescara».
NO ALLA POLITICA Gli hanno chiesto di candidarsi alle elezioni, una, due, «tantissime» volte, e ha sempre detto no a tutti: «Sirene ce ne sono state tantissime», rivela Gravina, «ma non ho mai aderito a un percorso perché non credo di avere le carte in regola per quel mondo che non è il mio e che a volte non condivido: io sono uno pragmatico, mi piace essere autonomo nelle scelte e questo mi porta a stare lontano dalla politica». Gravina e i conti del calcio di oggi: «Quei numeri mi spaventano. La pandemia ha fatto esplodere la criticità del calcio: la carenza di risorse. Dobbiamo trovare il modo per rendere sostenibile il sistema mettendo sotto controllo i costi: interessa sempre la massimizzazione del risultato sportivo ma non dobbiamo abboccare alle tentazioni di quei tifosi che vogliono vincere sempre; la programmazione è l’arma più importante per proseguire un progetto».
MIRACOLO CASTELLO Gravina è stato autore di una scalata sportiva senza precedenti, quella del Castel di Sangro, l’impresa di un paese che ha conquistato la serie B in un pugno di anni: dai campi in terra ai teatri del calcio. «Ma io non sono d’accordo con la denominazione di squadra del miracolo perché», sottolinea, «non rende onore a un progetto, sembra quasi che sia stato frutto di un caso e invece non è andata così. Sicuramente, siamo stati destinatari di una scelta divina ma alla base c’è sempre un progetto: tante vittorie non arrivano per caso. Nel nostro caso, il calcio ha dimostrato anche di essere veicolo di sviluppo per il territorio: il miracolo, quindi, non è stato la serie B ma tutto quello che è arrivato dopo in quel territorio». Se quella squadra aveva un segreto era l’ambizione di crescere. «I giocatori mi dicevano: “Presidente non darci i premi, facci fare la categoria”. Contava la capacità di essere uomini. E poi, al di là delle partite, ci sentivamo innovativi: andavamo in giro per l’Italia con i Solisti aquilani portando un concerto bellissimo delle Quattro stagioni di Vivaldi all’interno dei parchi; accoglievamo, grazie alla Pro loco, i tifosi ospiti fin dal giovedì per farli sciare e mostrare le nostre bellezze».
TRE GRANDI Una vita nel calcio: nell’olimpio dei grandi, Gravina sceglie Maradona per «la sua tecnica sopraffina»; Maldini «l’ho visto subito durante una partita contro la Renato Curi»; e poi Balotelli, «in allenamento gli ho visto fare cose da Oscar del calcio».
DANTE Ma Gravina non pensa soltanto al calcio: ha prodotto un musical sulla Divina Commedia che va in scena da 14 anni nei teatri d’Italia e raccoglie applausi. «Un’opera di grande attualità, introspettiva, con l’uomo che vuole uscire dalla sua depressione per conoscere l’amore, è un modo per mettere insieme arte, cultura e 700 anni di musica». Una vena artistica: Gravina ha recitato, interpretando se stesso, nel film “Crazy for football - Matti per il calcio” con Sergio Castellitto, la storia di uno psichiatra che incontra i pazienti sul campo. «Quando credo nella causa», assicura Gravina, «ci metto volentieri la faccia».
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