UN PROTAGONISTA, DA AVELLINO, SEMPRE NEL CUORE DEI PESCARESI
Attaccante centrale, bravo con i piedi, altrettanto nel colpire di testa, fisico longilineo ma potente, cresciuto nelle giovanili dell’Inter. Non ha segnato caterve di gol ma ovunque è andato ha fatto la sua parte, raramente ha deluso. Appese le scarpe al chiodo, ha cominciato a insegnare calcio, girando in lungo e in largo la penisola. In oltre venti anni di carriera si è seduto sulla panchina di 17 squadre, militanti in tutte le categorie, dall’Interregionale alla massima serie.
Il personaggio che mi appresto a ricordare è Bortolo Mutti, bergamasco di Trescore Balneario dove nacque l’11 agosto 1954. Ha quindi varcato da poco la soglia dei sessanta.
Prima di inoltrarmi nel suo via vai calcistico, di Mutti mi piace citare un ragazzo stupendo che si è legato alla nostra città per poco più di 8 mesi. Sempre disponibile, i momenti liberi li trascorreva dedicandosi al volontariato, e alle persone infelici e sfortunate. Mai un gesto d’insofferenza, sempre tranquillo e tollerante, benvoluto dai compagni e da Tom Rosati che lo ebbe a disposizione. Nei pochi mesi trascorsi a Pescara il mondo del calcio ha conosciuto una persona che si può tranquillamente definire impagabile. L’anno dopo approdò a Pescara Roberto Galbiati, anche lui cresciuto nell’Inter. Per i valori extracalcistici che esprimeva, appariva il gemello di Mutti. Una sorta di marchio di fabbrica della società nerazzurra, che prima del calciatore si occupava della cura della persona.
Questa presentazione di Mutti, vi chiederete, cosa centra con la prossima partita che vedrà il Pescara alle prese con l’Avellino?
Presto detto (forse). Dopo la prima stagione dei biancazzurri in serie B (1974-75) i dirigenti del Pescara, in testa Gianni Capacchietti, cominciarono a sognare in grande con un pensierino alla serie A, e nell’estate del 1975 affidarono a Tom Rosati un organico di tutto rispetto, innestando nel gruppo che aveva ottenuto una tranquilla salvezza nella “prima” tra i cadetti, elementi quali Repetto, Prunecchi, Daolio, Piloni, Di Somma.
Le amichevoli e le partite di Coppa Italia palesarono, però, una prima linea insufficiente. Prunecchi appariva solo, i giovani Berardi e Marchini non si dimostravano adeguati alla categoria. Alla riapertura delle liste di trasferimento di ottobre, urgente pescare una pedina di assoluto valore.
Intanto il campionato era iniziato con alterna fortuna, una vittoria, tre pareggi e una sconfitta (una vera e propria debacle, 0-3, a Ferrara con la Spal).
Nell’ambiente calcistico pescarese si attendeva un “colpo” e (tale si rivelò) questo accadde il 27 ottobre (a pochi giorni dalla chiusura del calcio mercato), quando l’allora d.s. dell’Inter Franco Manni, tenne fede a una promessa fatta al presidente Capacchietti e al collega Piero Aggradi, dando il nulla osta per il trasferimento di Bortolo Mutti alle dipendenze di Tom Rosati. Insieme a Mutti il Pescara si assicurò anche il difensore ex Cagliari Eraldo Mancin.
E qui ci siamo, direte ancora; ma questo remake societario cosa centra con l’Avellino?
Andiamo avanti veloce, fino al 4 gennaio 1976. In programma la 14^ giornata che vedeva il Pescara - reduce dalla vittoria casalinga (1-0) con il Taranto - impegnato ad Avellino. In Irpinia la situazione non era delle migliori. Le contestazioni della tifoseria avevano indotto il presidente Iapicca a sciogliere il rapporto di lavoro con Tony Giammarinaro, affidando la squadra a Corrado Viciani, il tecnico del cosiddetto “gioco corto”.
Rosati per l’occasione si affidò a questa formazione, una sorta di 5-3-2: Piloni, Zucchini, Rosati, Andreuzza, Di Somma, Motta; Repetto, Daolio, Nobili; Mutti, Prunecchi. In panchina Ventura, Santucci, Catarci. L’arretramento di Zucchini, a detta di Rosati, si rese necessario per cercare di limitare l’avellinese Rossi.
Il primo tempo, a fasi alterne, non fece registrare episodi degni di nota. La rievocazione di quella partita è condensata nei secondi 45’, e nella parte finale di essi. L’atmosfera in campo e sugli spalti faceva presagire nulla di buono. I tifosi locali, infuriati con la propria squadra che non riusciva a passare, iniziarono a prendersela, chissà perché, con la terna arbitrale, mentre Rosati intuiva che il clima volgeva in favore del Pescara e che fosse giunto il momento di affondare i colpi. E questo avvenne all’80’ quando Mutti si fece trovare pronto a raccogliere una punizione di Franco Rosati e di sinistro fare secco Pinotti. Immediato, due minuti dopo, il raddoppio. Scena ancora per Mutti. Deliziosi lo stop sul lancio di Daolio e il diagonale che trafigge ancora l’estremo difensore biancoverde. Apriti cielo. Per i tifosi locali Mutti al momento di far suo il pallone si trovava in posizione di fuorigioco. Imprecazioni, invettive, ingresso in campo di estranei. Il direttore di gara Redini di Pisa e i suoi collaboratori, vista la malaparata guadagnarono gli spogliatoi protetti dalla polizia, prima dell’inizio di una sassaiola di cui restò vittima il fotografo Giancarlo Papi del Messaggero giunto ad Avellino con l’inviato del quotidiano romano, Antonio De Leonardis e me, inviato dell’emittente locale Teleadriatica TVA, rimasti entrambi in tribuna stampa. In questa atmosfera diversi giocatori delle due squadre preferirono restare in campo, in attesa di poter fare rientro negli spogliatoi. Alla fine della stagione Mutti tornò all’Inter e per lui iniziò l’andare in giro per l’Italia, prima come giocatore, ultima società il Palazzolo, poi come allenatore, ultima il Padova. Nel suo palmares, figurano diverse promozioni nei due ruoli e qualche esonero, naturalmente come allenatore.
Per concludere, mi sento di aggiungere molto volentieri che quando per impegni di allenatore è tornato a Pescara, mi sono spesso incontrato con lui e se non fosse per la carta d’identità e i capelli, mi sono sempre imbattuto nel Bortolo Mutti che incontrai orsono circa quarant’anni.
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