Risveglio a Zemanlandia
Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’così...
La flebile fiamma dell'accendino, che illumina la stanza buia, sembra la fiammella delle speranze promozione del suo Pescara. La prima sigaretta del mattino, si dice, è quella che fa più male, ma è pur sempre quella che un vero fumatore assapora più intensamente e il signor Zdenek prova un sottile ma violento piacere mentre la gusta. Un istante di apnea con la prima boccata, la sensazione fisiologica, ma irreale, di un capogiro. Dalle narici fuoriesce del fumo, sembra quasi la sbuffata di un toro, che poi sale su, lentamente, illuminata da un filo di luce, fioca, che filtra dalle serrande ancora abbassate. Il risveglio è un replay di un rito consolidato da sempre. Le stesse azioni, ripetute ogni giorno uguali, all'infinito, come fanno i suoi ragazzi con un pallone per memorizzare i meccanismi del suo credo. I primi tiri alla sigaretta, con la bocca ancora impastata dal sonno, sono amari, ma gustosi. Tra poco saranno accompagnati dall'aroma del caffè. Nero, bollente e senza zucchero. Sigaretta e caffè, un binomio perfetto come la sovrapposizione di un esterno basso a quello alto in fase di possesso. Ed ecco che alle prime luci dell'alba il calcio fa già capolino nei suoi pensieri, ma è ancora presto. Gradoni ed esercitazioni possono ancora attendere. Sul tavolo, vicino alla tazzina ancora immacolata, c'è il libro sfogliato per l'ennesima volta la sera precedente, appena prima di coricarsi: il Don Chisciotte de Cervantes, lo Zeman della letteratura. Il sole è tornato a splendere su Pescara dopo un lungo e rigido inverno e il piacevole tepore del mattino sulla riviera preannuncia l'imminente arrivo della primavera. Affacciarsi sul lungomare della città è un privilegio per pochi, ci si sente come il Papa a San Pietro. Una leggera brezza proveniente dal mare scompiglia una criniera leggermente meno folta rispetto all'ultima volta: sono passati 5 anni. La bocca non era amara per la sigaretta accompagnata dal caffè, quel giorno. Ma per l'addio, il secondo. Nel primo, la sua bocca assaporava ancora il dolcissimo gusto del trionfo. Sono passati quasi undici anni. A quel pensiero, il sorriso increspa un po' la bocca, allungando la ruga che riga le guance già da un po' di anni. La città dorme ancora. Godereccia com'è, vuole godersi ancora quegli attimi di quiete prima di tornare ad essere frenetica come una metropoli, pur non essendola. Un respiro a pieni polmoni gli fa sembrare di avere in bocca il mare stesso. “Ah, quanto mi è mancata questa sensazione”. Ma è un pensiero che dura un attimo appena, perchè il signor Zdenek non è solito guardarsi indietro come i suoi coetanei. Lo fa solo per ricordare gli amici che non ci sono più, come Franco e Vincenzo. Il signor Zdenek guarda avanti, sempre e comunque. Con quel coraggio e quella spregiudicatezza che sono diventati proverbiali se associati al suo nome in una stessa frase. Due sorsi di caffè sull'ampio terrazzo, mentre lo sguardo indugia su due gabbiani che si rincorrono. Sembrano ripetere la sua storia e quella del Pescara. Preso in B e trascinato trionfalmente in serie A, ripreso da subentrante nella massima serie per scortarlo, senza colpe, nella cadetteria, dove ora lo vorrebbe riportare per toglierlo dall'Inferno della C. Osserva l'orizzonte, il signor Zdenek, proprio là dove c'è quella linea sottilissima in cui l'azzurro del mare si mischia a quello del cielo, unendosi ed abbracciandosi l'un l'altro come fossero la stessa faccia di una stessa ed inscindibile entità. Lo sguardo non è severo, come quando è al lavoro, ed i pensieri non sono interrotti dalle parole, orpelli spesso per lui superflui tra le lunghe pause e le eloquenti espressioni. Sulla sua mimica facciale, infatti, si potrebbe scrivere un trattato. Sul lungomare un gruppo di giovani che corrono, gratis e non a pagamento come i suoi ragazzi, gli ricordano che è ora di andare. E' quasi l'ora X, anzi ZZ. Si avvia verso la porta, con passo lento ma per nulla incerto. Le spalle sono un po' curve, per il peso di mille battaglie sostenute. Prima di uscire prende un disco, è in vinile. Lo estrae dalla fodera, lo adagia sul grammofono, datato quasi quanto lui, e lascia che la musica riempia la stanza. Lo fa per lasciare un senso di se', come ha sempre fatto ogniqualvolta ha lasciato un luogo per emigrare. Non è un pezzo di musica classica, ma una vecchia hit di una band rock brittanica, i Queen. Il titolo? “Bohemian Rhapsody ”. E con un sorriso beffardo e malizioso chiude la porta di casa, per aprire di nuovo quella di un luna park chiamato Zemanlandia. Luciano Rapa
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