L'epilogo più triste
Zeman chiude l'avventura biancazzurra nel modo peggiore
Il divorzio sembrava ormai solo una questione di tempo. Al massimo a fine stagione, infatti, le strade del Pescara e di Zdenek Zeman si sarebbero comunque separate. Il boemo, al di là delle frasi di facciata, era ormai un separato in casa e l'esonero comunicato l'indomani del ko di Cittadella, arrivato dopo una vittoria e due pareggi, lo certifica senza tema di smentita.
Niente Zemanlandia nell'avventura bis di "Sdengo" a Pescara. E forse non poteva essere altrimenti. Non poteva esserlo di certo lo scorso anno, quando subentrò dopo l'addio di Oddo a situazione ampiamente compromessa e non più raddrizzabile. Si presentò con un roboante 5-0, frutto più dei demeriti di un Genoa in piena crisi che della scossa emotiva portata dal cambio in panchina. Ma già agli albori del suo ritorno, la sensazione era stata quella che un nuovo miracolo sarebbe stato difficilissimo da vedersi in riva all'Adriatico. Parte della tfoseria, quella organizzata in primis, non ha mai digerito un ritorno che è stato più una mossa mediatica del presidente che non altro.
Si poteva e si doveva almeno programmare la stagione successiva, ma così non è stato. Si sono persi mesi preziosi, del tutto sprecati. E in estate, quando doveva nascere una nuova creatura zemaniana, il mercato ha consegnato un ibrido nato tra il compromesso delle richieste del tecnico, solo in minima parte esaudite, e le esigenze finanziarie del club, sicuramente preponderanti. Di certo, Zeman non ha dato la sua impronta alla squadra, ma molto di più non poteva fare. Dogmatico, ha provato ad essere pragmatico modificando alcuni concetti. Ma non tutti e, forse, non quelli giusti. Ha il merito per alcuni di non aver mollato, per altri l'aver perseverato senza dimettersi è stata la sua principale colpa. Ma adesso sono discorsi del tutto inutili, non è possibile cambiare quello che è stato.
Resta di fatto che l'epilogo è amaro, amarissimo. E scalfisce, in parte, anche lo splendido ricordo di quella fantastica cavalcata promozione del 2011-12, quando Pescara riuscì a vivere e a coronare un vero sogno. Ma forse è proprio dalla fine di quell'anno che è iniziato a maturare il definitivo addio celebrato ieri, con quella partenza per Roma mai digerita dalla piazza, almeno dalla maggioranza della stessa, e con i contuinui tormentoni delle stagioni successive con ritorni mai consumati a gettare il seme della discordia. Serviva però un epilogo del genere per mettere definitivamente la parola "fine" al rapporto tra lui e il Delfino. Tutti sapevamo che prima o poi il boemo si sarebbe seduto nuovamente sulla panchina panchina biancazzurra. Lo ha fatto nel momento più sbagliato. Ed ha pagato in pima persona, anche responsabilità non sue. Con lui saluta anche Pavone, l'alter ego calcistico. Forse Pescara è stato il crepuscolo della loro carriera. Gli amanti del calcio si augurano di no, vorrebbero vedere ancora questa sorta di Batman e Robin senza costumi insegnare pallone. Ma Pescara volta pagina. E lo fa asciugandosi una lacrima amara
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