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"Il Derby... County dell'Adriatico": il Delfino Rampante racconta...(Pineto-Pescara)

L'apprezzata rubrica di PS24

12.10.2023 11:50

Torna una delle più apprezzate rubriche di PescaraSport24 torna puntuale per darvi un punto di vista diverso delle questioni di casa Delfino. Buona lettura!

Derby. Poco meno di 250mila abitanti. Midlands dell'Inghilterra. I primi insediamenti risalgono ai Romani. Per gli amanti del calcio, questo nome divenne popolare tra il 1969 e il 1973 grazie a colui che, probabilmente, fu il più grande allenatore britannico di tutti i tempi, Brian Clough: "Io non sono solo il miglior giovane allenatore d'Inghilterra ma sono il più bravo anche tra i vecchi".

Brian Clough, colui che portò la squadra, in tre anni, prima dalla Championship alla Premier league, poi a vincere il titolo di campione d'Inghilterra e infine a giocarsi la semifinale di Coppa dei Campioni contro la Juventus.

Brian Clough colui che, insieme al suo fido, Peter Taylor, portò, nella seconda metà degli Anni settanta del Novecento, il Nottingham Forest a vincere la Premier e,  per due anni di fila, la European Cup, la nostra vecchia e amata Coppa dei Campioni. Tant'e che Nottingham è famosa nel mondo per due motivi: la città di Robin Hood e la città di Brian Clough al quale hanno anche dedicato una statua.

Ma facciamo un piccolo passo indietro. Non tutti sanno che il Derby County fu, nel 1888, uno dei club fondatori della Football League. E soprattutto non tutti sanno che, proprio in questa piovosa città della campagna inglese, si diede i natali al significato attuale della parola derby. Siamo nel lontano XVIII secolo: la storia, un po' leggenda, narra che, durante il martedì grasso, si sfidarono i giovani della parrocchia di All Saints e i giovani della parrocchia di Saint Peter.

Per farla breve, di qui la parola derby entrò piano, piano nel vocabolario sportivo fino ad assumerne il significato universale odierno.

Derby quella partita dal sapore particolare. Derby, quella sfida - più che partita - che ti fa vivere vigilie diverse. Derby, quella sfida che tutti aspettano con ansia e che, spesso, sovverte i pronostici e le forze in campo. E lo fa proprio in virtù della magìa intrinseca che l'accompagna. Dei "friccicori" allo stomaco che produce ante e post. Così capita, spesso, che i meno favoriti moltiplichino le forze, rovesciando i pronostici della vigilia. E, per chi esce sconfitto, l'amaro in bocca è doppio, ancora più amaro. Tutt'altro che... voglio il meglio, come recitava quella famosa pubblicità su un amaro altrettanto famoso.

Praticamente quello che è successo ieri all'Adriatico, per una volta - e stranamente aggiungiamo - non casa del Pescara. Ma casa, dolce casa, del Pineto che, appunto nel derby - il primo, storico derby - contro il Delfino stravolge, ribalta e sconvolge gli equilibri pre match battendo, tra le momentanee mura amiche, la formazione di Zdenek Zeman. 
Che, come sovente e pericolosamente sta accadendo in questo primo scorcio di stagione, sbaglia troppo sotto porta e questa volta non riesce a recuperare lo svantaggio perché i miracoli, proprio per la loro straordinarietà ed estemporaneità, non accadono molte volte. Anzi, al contrario, accadono quasi mai.

1-0 il risultato finale grazie a un gol di Gambale nella ripresa propiziato da un episodio un po' strambo. Un coniglietto dispettoso e inafferrabile - una sorta di Bianconiglio -, decide di diventare il protagonista della serata: si appropria del pallone, ma soprattutto della sorte e dell'imprevedibilità del derby, confonde e imbambola Brosco e permette all'attaccante di Amaolo di battere l'incolpevole Plizzari, questa volta molto umano e poco supereroe.

Il Pescara perde così l'imbattibilità e incassa il primo stop stagionale, contro un Pineto versione Robin Hood. Nella serata che non t'aspetti. Nel momento che non t'aspetti. Ma sic est: perché, come detto, il derby è il derby. E non sempre vincono i favoriti.

Come dire, ricordando il Liga, ho perso le parole eppure ce le avevo qua un attimo fa. Guardati in faccia e dopo credici un po' di più davvero.

Archiviamo questo passo falso e torniamo a guardarci in faccia e crederci, dunque. Anche perché, prima o poi, per la legge dei grandi numeri, una sconfitta doveva pur arrivare. Anche se è arrivata proprio quando non doveva arrivare.

Ma la storia è maestra di vita. Insegna e fa imparare dagli errori commessi. E quindi, anche una sconfitta, seppur amara - tornando al nostro famoso amaro - può servire per ricaricare le pile e tornare a correre e vincere. La storia, d'altronde, è piena zeppa di esempi in tal senso.

Tra quattro giorni si va di nuovo in campo. Nel posticipo di lunedì sera all'Adriatico  - che finalmente tornerà ad essere la nostra casa - arriva la Vis Pesaro. C'è bisogno di tornare a correre. Di tornare a percorrere la nostra Route 66. La nostra autostrada. Perché, come scrive Jack Kerouac, "basta seguire la strada e prima o poi si fa il giro del mondo".

Torniamo subito a fare il nostro giro per inseguire il nostro mondo.

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