Il progetto Delfino Curi Pescara nelle parole di un ex portiere dell'Atalanta
Intervista ad Alberto Agresta
“Lasciare un’impronta sui ragazzi per la vita”. Poche parole per mettere nero su bianco qual è e quale sarà la mission del Delfino Curi Pescara. Alberto Agresta, 50 anni, ex portiere della prima storica Renato Curi con trascorsi nei professionisti (Atalanta e Chieti), è oggi il presidente della Asd Curi Pescara, la costola della grande famiglia pescarese che si occupa dell’attività di base. Naturalmente, Agresta è uno dei soci più “anziani” e attivi della nuova società. Il figlio Luca ne ha seguito le orme ed è portiere dell’Under 17 (il secondo, Stefano, è un centrocampista e milita nel Pescara Under 14).
Agresta rappresenta alla perfezione quello che la Renato Curi è stata negli anni e quello che oggi si ripropone di portare avanti; “Abbiamo tante persone che vengono da quella realtà: io, Angelosante, Chiacchiaretta, Bonati, Croce. Tutti ci portiamo dietro quello che la Curi rappresentava, un modello. E non solo per l’Abruzzo. Io lo dico sempre: ero un professionista già a 12 anni. Ritrovo parecchio di quei tempi in questa nuova società, anche se facciamo un po’ fatica a trasmetterlo ai giovani perché i tempi sono cambiati”.
Occhi e antenne puntate sempre sulle formazioni giovanili: “Principalmente seguo la squadra di Schipa, l’Under 17 sotto età, perché lì c’è mio figlio Luca, anche lui portiere, e lo accompagno alle partite. Una buona squadra, considerando che mancano anche tre infortunati che ne avranno per molto. Questi ragazzi dovrebbero crescere a livello caratteriale, ma sono molto giovani e sono sicuro che con il tempo lo faranno. Gli altri gruppi vanno abbastanza bene. I 2008 pagano un gap fisico notevole, sono tutti ragazzi a cui manca ancora la fisicità. L’Under 17 in età forse poteva avere qualche punto in più, ma non ci possiamo lamentare”.
L’obiettivo infatti non è solo quello di guardare le classifiche, ma di andare oltre: “Cercare di vincere, che non guasta, ma anche creare una buona base di giocatori che possa giocare in Eccellenza o in D ed essere un serbatoio per la prima squadra”.
A proposito, un giudizio sui ragazzi di Bonati? “Con Guglielmo mi trovo quasi al cento per cento, la visione che ha lui è anche la mia. In Eccellenza puoi avere due elementi di esperienza, ma gli altri devono essere giocatori locali, provenienti dal vivaio, che magari studiano e si divertono a giocare a calcio. Giocare seriamente”.
Trent’anni fa Agresta faceva parte dell’Atalanta che, come quella di oggi, lottava anche in Europa. “E ho avuto lo stesso presidente che c’è oggi, Percassi – racconta – . Quando ho lasciato la Curi, che pure era ritenuta unica per organizzazione, sono stato catapultato letteralmente su Marte. Nel 1988 il centro di Zingonia aveva dodici campi, io dovevo pensare solo ad andare a scuola e giocare a calcio, per tutto il resto c’era la società. Sono stati anni meravigliosi, bellissimi, in cui sono stato ad un centimetro dal fare il giocatore di serie A vero. Non è andata per tanti motivi, ma non ho rimpianti. Ho studiato a Bergamo, in quella città ho lasciato il cuore e gli amici dell’adolescenza. Per un periodo mi sentito prima bergamasco e poi pescarese. Con me tanti ragazzi che poi hanno fatto carriera, come l’amico Domenico Morfeo, che ogni sera in stanza piangeva e mi chiedeva di aiutarlo a fare i compiti… Quello che distingue l’Atalanta dagli altri club? Lì, anche se non diventi un giocatore di serie A, la società si preoccupa di quello che sarà della tua vita fuori dal campo, si lavora per il futuro dei ragazzi. Un’esperienza così la auguro a tutti i nostri giovani”.
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