Editoriale

Da Ruganic e Pellinho, a Zampanho e Lapadulão

17.11.2015 09:31

L’esterofilia dilagante, il vero male del calcio italiano nel periodo di maggiore crisi nella sua storia. Tutti alla ricerca del talento straniero, possibilmente giovane e a bassissimo costo anche nei settori giovanili, il serbatoio (dove comunque ci sono strutture non all'altezza, rispetto all'estero, a preparare i calciatori del domani). E così non va. Basti vedere la Nazionale italiana, con pochissimi veri talenti. Tanti comprimari e buoni giocatori, nulla più. E le prospettive non sono rosee. Pensate a Rugani e Pellè, il “nuovo che avanza”. Il primo, con il milanista Romagnoli unico difensore di prospettiva in Italia, rischia di ammuffire in panchina. Appena 2 minuti collezionati nella Juventus, che però spende 26 milioni per un terzino come Alex Sandro (non di certo un Maldini o un Roberto Carlos). E Alfredo Pedullà scrive: “Siamo sicuri che se si chiamasse Ruganic avrebbe la stessa, scarsa, considerazione? In Italia siamo fatti così: un '94 è ancora giovane, in altri Paesi avrebbe già almeno una ventina di presenze in Nazionale”. Il calcio straniero è pieno di esempi, passati e presenti, di questo tipo. In Italia è rarissimo, fuoriclasse come Totti e Buffon a parte. Si preferisce mandare i giovani “a far le ossa” in prestito, rischiando però di perderli. Non tutti sono come Zeman, capace di lanciarne tanti in A  (gli ultimi? Marquinhos, Donsah) per la gioia a fine stagione anche delle casse societarie. Prendete Verratti, che all’estero si è imposto mentre in Italia i grandi club tergiversavano,  o Mandragora, definito “Il Predestinato”: un anno in B a Pescara di certo gli gioverà, ma se si fosse chiamato Mandragorat ed avesse avuto passaporto russo forse ora sarebbe già altrove… C’è poi lo strano caso di Graziano Pellè. E’ il nuovo che avanza, ma ha già 30 anni. Ed ha dovuto cercare fortuna fuori dai confini tricolori. Az Alkmaar, Feyenoord e Southampton le tappe del suo cammino che lo hanno portato a diventare, di recente, titolare della Nazionale italiana. Ed anche questo è sintomatico dello stato nel quale versa il calcio azzurro: il pur bravo Pellè in altre epoche non sarebbe stato minimamente preso in considerazione per la Rappresentativa Maggiore, non per demerito ma per la presenza di tantissimi attaccanti ben più forti. “Se mi fossi chiamato Pellinho non so come sarebbe stata la mia carriera. Anche da parte dei giornalisti, ci dovrebbe essere uno spirito più vicino all'Italia. Su questo dobbiamo migliorare”. Vero. Se si scende di categoria l’analisi non cambia molto. E non bisogna andare lontano per fare esempi, basta restare a Pescara. Francesco Zampano si sta imponendo come il miglior terzino destro del campionato ed ha ancora ampi margini di miglioramento. Il Verona (non il Milan!), però, ha preferito incassare cash cedendolo in B piuttosto che testarlo in A. Avrebbe sfigurato Zampano nell’Hellas? Crediamo di no. Certo, si fosse chiamato Zampanho le cose sarebbero state probabilmente diverse… Così come probabilmente avrebbe avuto una carriera diversa Verre se avesse avuto una N finale e città di nascita Dortmund e non Roma; oppure Lapadula – uno che però può crescere ancora molto – se fosse di Lisbona e si chiamasse Lapadulão. Prima di loro il caso di Melchiorri, al netto della grave vicenda di salute che ne ha penalizzato l’ascesa. I club come il Pescara devono creare nel proprio vivaio i giocatori del domani e valorizzare i giovani altrui per poi rivenderli: il calcio del terzo millennio è questo e estremizza tale “condizione di Natura” per i non top club. Ma il calcio italiano sta cambiando, involvendosi. Se la Juventus “fa crescere” i talenti del Real Madrid (vedi Morata e diritto di recompera) vuol dire che il futuro è nero. Urge cambio di rotta, immediato. E allora sempre viva il Pescara e le squadre di provincia, che devono fare di necessità virtù e che devono – per forza di cose – lanciare talenti. Sperando che non si perdano…  

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