Editoriale

Dal Carneade Stroppa al Figliol Prodigo Bergodi

27.11.2012 08:34

bergodic


"Carneade! Chi era costui?", si chiedeva Don Abbondio all’inizio dell’VIII capitolo de ‘I Promessi Sposi’, il più intenso e forse peculiare dell’intera opera di Alessandro Manzoni. Da allora, con il nome del filosofo greco si designa qualcuno di poco conosciuto e con poche credenziali. Giovanni Stroppa era in tal senso un Carneade della panchina, conosciuto al grande pubblico per i suoi trascorsi prestigiosi da calciatore ma un novizio ai massimi livelli come allenatore. Dopo appena un anno di professionismo alle spalle in Lega Pro e qualche esperienza nel settore giovanile del Milan, Stroppa si è trovato catapultato in una situazione più grande di lui nella quale ha agito da parafulmine assumendosi tutti i rischi del caso essendone tuttavia consapevole. Preparato a livello teorico e meticoloso sul lavoro, ha pagato dazio all’inesperienza ed anche gravi colpe non sue. Ha “tolto il disturbo” con un atto di grande dignità, rassegnando le proprie irrevocabili dimissioni quando la situazione si è fatta insostenibile: il pubblico non era più con lui, con la squadra i rapporti si erano incrinati e la società era sempre più distante.

L’addio silenzioso ha prodotto l’arrivo a Pescara di Cristiano Bergodi, il ‘Figliol Prodigo’, non nel senso desumibile dalla Parabola come “figlio che ritorna a casa dopo aver sperperato le sue ricchezze” ma nel senso di “colui che torna in Patria dopo un lungo peregrinare”. Già, perché Pescara per Bergodi è una Patria adottiva essendoci stato per i 9 anni della sua formazione, calcistica e non solo, prima di spiccare il volo verso altri lidi. Qui ha contribuito alla stesura di una delle pagine più belle ed entusiasmanti della storia biancazzurra, vale a dire le gesta della Prima Era Galeone, ed ha stretto un legame forte con la città e con la tifoseria. E’ anche lui un novello del grande proscenio calcistico italiano, ma nel suo bagaglio di esperienze vi sono avventure non facili all’estero ed in Serie B. Il suo predecessore gli ha lasciato un’eredità pesante, ma può ripartire da qualcosa di buono visto contro la Roma. L’appoggio del pubblico ed  il piglio di una squadra finalmente coesa rendono meno amaro l’ultimo posto in graduatoria con la peggiore statistica nelle categorie reti fatte e reti subite. Di certo, i problemi da risolvere sono tanti e non solo facili da affrontare; inoltre, il calendario da qui a metà Gennaio non aiuta (definirlo ‘difficile’, infatti, è un eufemismo) e riverbererà i suoi riflessi anche sulla sessione invernale del mercato. Si dovrà iniziare con il risolvere l’equivoco tattico sulla posizione di Quintero, che deve diventare oltretutto meno lezioso e più concreto, e con il trovare il modo di sfruttare il genio di Weiss, limitandone la sregolatezza, per tutto l’arco dei 90 minuti di gara e non solo come grimaldello da utilizzare a partita in corso. La salvezza del Delfino passa inevitabilmente dai piedi dei due uomini dotati di maggior talento.

L’impresa salvezza  sembra molto ardua, inutile negarlo, ma non impossibile da realizzare: l’imperativo categorico è crederci. Crederci tutti, nessuno escluso, perché bisognerà lottare e soffrire fino alla fine.

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