ALTA PRESSIONE
L'azione limitante delle aspettative crescenti sulla prestazione sportiva nel calcio
Torna per voi "CALCIOLOGICAMENTE", la rubrica firmata dal dott. PIETRO LITERIO (Psicologo-Psicoterapeuta e Docente Universitario a Contratto di Psicologia del Lavoro-EPG a Chieti-Pescara) che si propone di analizzare le vicende biancazzurre da un punto di vista del tutto peculiare rispetto al consueto.
Buona lettura!
L’altezza è metà bellezza, ma stare in alto può far salire la pressione. Se poi l’ambiente con il suo entusiasmo crescente te lo ricorda, ancor di più.
E così mentre il Pescara tenta coraggiosamente di spiccare il volo, nel suo punto più alto (contro il Cittadella), si accorgere improvvisamente di trovarsi ad alta quota (dopo la vittoria di La Spezia), tanto da avere le vertigini.
In altre parole, torna l’ansia da prestazione sportiva, con il crescere delle aspettative di vittoria e di riscatto che, a loro volta e senza volerlo, aumentano le pressioni nella testa dei giocatori.
E i sintomi in campo di tale ansia sono evidenti: nelle ultime 5 gare si assiste a un gioco più discontinuo, incerto, complicato e prevedibile, soprattutto e stranamente nei momenti di superiorità numerica (vedi Lecce e Ascoli).
Torna così la paura di perdere o di non riuscire a vincere e soddisfare le giuste aspettative crescenti dell’ambiente e dei tifosi, che rischiano però di trasformarsi in “pretesa”: il dover vincere e convincere (“ammazzando” anche il campionato).
Contro il Cittadella in casa, il Pescara in forte crescita “doveva” vincere e convincere. Ma così non è stato. Forse un caso, un normale calo fisiologico dopo la forte scalata. Pertanto, contro Cosenza, Lecce e Palermo doveva esserci la “prova del nove”, anch’essa delusa.
Infine, in casa contro l’Ascoli (di metà classifica) si doveva vincere, soprattutto davanti ai propri tifosi. Non a caso i giocatori dichiaravano di preparare la partita proprio per tale obiettivo. Ed ora si dichiara che il Delfino “DEVE” riscattarsi a Perugia.
Ma “è proprio il tentativo di risolvere il problema che rischia di diventare il problema”: a forza di dovere vincere e convincere si rischia di ingessarsi, di non essere più spensierati, preparando così la strada all’insuccesso.
Si perché vincere è come amare o dormire: si tratta di processi spontanei, naturali e non imposti. Anzi, più attenzione vi si pone più non si riesce perché, come dimostra “l’effetto millepiedi”, se si fa troppa attenzione a dove mettere i piedi si rischia di inciampare, fino a cadere.
Tuttavia, non mancano segnali positivi dai tifosi e dall’ambiente: l'applauso alla squadra da parte del pubblico, anche dopo il pareggio contro l'Ascoli, è un buon segno nella direzione dell’accettazione, che abbassa la pressione sui giocatori e squadra.
Così come aiuta tornare agli esordi, alla politica societaria del “low profile” o a “fari più spenti”: obiettivi minimi (come valorizzare i giovani) oltre a fare un buon campionato, senza puntare a vincerlo.
Forse così passeranno le vertigini e si ridurranno le naturali pressioni dell’ambiente, facendo tornare spensieratezza e concentrazione nella squadra, così da recuperare la fiducia nei propri mezzi e raggiungere la migliore condizione fisica e mentale (il cosiddetto “stato di grazia o flow”).
Per dirla alla Pillon, bisogna cercare di essere come una famiglia, unita, operaia e concentrata sul momento.
Del resto saper aspettare è un’arte, dal momento che “l’attesa del piacere può essere essa stessa piacere”. Forza Pescara!
(dedicato a Lorenzo)
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