Il normalizzatore
Cascione somiglia più al Di Francesco dei primi tempi che non a Zeman
Adesso si può tornare a parlare del Pescara come di una squadra. E' bastato meno di un mese a mister Emmanuel Cascione per rimettere a posto le tessere di un mosaico che sembrava ormai irrimediabilmente compromesso. Era infatti il 18 marzo quando la panchina biancazzurra, rimasta vacante per 72 ore dopo le dimissioni presentate da Giovanni Bucaro al triplice fischio della debacle di Rimini, ha trovato un nuovo proprietario in un novizio della panchina al debutto tra i professionisti. Il compito che gli era stato affidato non era affatto semplice: prendere un gruppo sfiduciato e allo sbando, colpito dall'addio forzato di Zeman e incapace sotto la guida del successore di dare veri segnali di vita, e ridargli linfa sul piano mentale e su quello tecnico. All'epoca sembrava ben più vicino un definitivo tracollo rispetto ad una lenta ma confortante ripresa, dopo 4 partite si può dire che la cura sta funzionando. Con Cascione al timone, il Pescara ha conquistato 7 punti sui 12 disponibili, ha strappato il visto per i playoff riprendendosi la sesta piazza ed ha messo nel mirino la quinta, certamente difficile ma non impossibile da agguantare negli ultimi 180 minuti di campionato. Il dato numerico ha una sua rilevanza, contando che nelle precedenti 13 giornate del girone di ritorno il bottino, piuttosto magro, era stato di 13 punti (dei quali 4 nelle 5 gare dell'interregno Bucaro), ma ciò che probabilmente più conta è l'impronta che il nuovo tecnico è riuscito a dare alla squadra. Dopo aver lavorato sul piano mentale per ridare serenità e consapevolezza al gruppo, il tecnico si è dedicato agli aspetti tattici con poche ma precise priorità: fermare l'emorragia di gol presi grazie a ordine e solidità e, conseguentemente, varare una nuova organizzazione di gioco coerente con la prima problematica da risolvere. Il suo Pescara copre bene gli spazi, è compatto e inizia ad avere una proposta offensiva migliore rispetto alle prime uscite, sapendo che con un baricentro più basso c'è più campo da coprire in ripartenza o in azioni manovrate. Il prossimo step sarà quello di ritrovare alcune delle giocate codificate dell'epoca Zeman, ma chiaramente non tutte perchè adesso gli esterni bassi accompagnano solo a turno, e nemmeno sempre, lo sviluppo e gli interni hanno altri compiti nelle due fasi. Al Pescara, insomma, serviva un “normalizzatore”. Non uno stratega e nemmeno un mago, ma un tecnico in grado di raccogliere i cocci biancazzurri per rimetterli tutti al proprio posto, incollandoli con grande pazienza e cura certosina. Emmanuel Cascione, in fondo, per il Delfino è stato proprio questo. Non è un innovatore ma un allenatore pragmatico e non dogmatico che somiglia più al Di Francesco dei primi tempi che non a Zeman. Per sua stessa ammissione ha preso qualcosa da ogni tecnico che ha avuto nella sua lunga carriera da giocatore per poi farsi una propria idea di calcio. Il vero Cascione non lo vedremo quest'anno e a Pescara forse non lo si vedrà nemmeno l'anno prossimo, perchè il suo incarico è a tempo e non è quindi certa la sua conferma, ma per la missione forse impossibile di questo travagliato 2023-24 va bene anche così.
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