Druda: “Da qualche anno il Pescara pesca tanti giovani nel sud e..."
Da Il Messaggero ed. Abruzzo
Quale calcio sarà dopo l’emergenza coronavirus? Il pallone del futuro deve ripartire… dal passato. Roberto Druda, membro del consiglio di amministrazione del Pescara per conto del socio uruguaiano Victor Mesa, ha una lunga storia da responsabile dei settori giovanili ad Atri, Penne, Pineto e Sulmona. Negli ultimi anni ha collaborato con la “Formativas” del Wanderers Montevideo, prima di entrare anche nell’area scouting del Pescara. Il pallone si sgonfierà e bisognerà avere idee e occhi esperti per fronteggiare mancati incassi dal botteghino e calo delle sponsorizzazioni, e operare la riduzione globale del monte stipendi. La vicenda personale di Druda è già da esempio: fu scovato nei dilettanti dal Pescara oltre quarant’anni fa. “A 16 anni ero considerato la riserva di Zucchini con Tom Rosati, poi con Cadè – racconta – . Sono stato capitano della Primavera, in quegli anni ho conosciuto Repetto e Nobili. Il mio tecnico era Gino Stacchini, che veniva dalla Juventus: un fenomeno per i giovani”. Il Pescara deve riconquistare l’Abruzzo. Come fare? “Servirebbe una rete capillare di tecnici da mandare in giro ad insegnare calcio ai bambini fino a 13 anni. Abbiamo un maestro come Bruno Nobili, potremmo aggiungere a lui altre grandi bandiere del passato biancazzurro. Dovremmo diventare il punto di riferimento nelle principali città e aumentare il numero delle affiliazioni che stiamo facendo. Poi vedere i ragazzi al Poggio e prendere i migliori, creando così anche attaccamento ai colori del Pescara in tutta la regione”. L’idea quindi è ripercorrere la strada del passato: “Da qualche anno il Pescara pesca tanti giovani nel sud Italia. Bisogna tornare alle origini: Val di Sangro, Marsica, Valle Peligna, Val Vibrata, la costa e il Pescarese in passato erano il serbatoio del Delfino e sfornavano calciatori buoni per il calcio professionistico. Perché peschiamo al sud e non in casa nostra? Forse perché lì, come in America Latina, si gioca ancora per strada fin dall’infanzia”. Bisognerà cambiare anche l'approccio al calcio, Druda la vede così: “Fin da piccoli, ai bambini che si avviano al calcio vengono fatti praticare anche altri sport: basket, pallavolo, pallamano o rugby, ad esempio. Perché? Per allenarsi a muovere tutto il corpo, ad avere elasticità per il controllo del pallone e nel gioco aereo. Bisognerebbe allenarsi anche in spiaggia. Qui in Abruzzo abbiamo avuto maestri di settore giovanile come Luzi, Tribuiani, Bertuccioli, Di Mascio e Vatta: credo che sarebbero tutti d'accordo su questa linea”.
Per tornare a formare talenti, servirebbero campi naturali: “Il terreno sintetico è utile solo per esercitazioni tattiche e non per il gesto tecnico, visto che poi le partite si giocano quasi tutte sull’erba naturale. Prima il Pescara lavorava all’antistadio o addirittura al Rampigna, campi in terra o sabbia, che aiutavano lo sviluppo della sensibilità del piede. Asciutti, erano campi velocissimi. Bagnati, servivano per aumentare forza e resistenza”. Druda boccia anche una regola del calcio dilettantistico, da sempre il bacino più grande del mondo professionistico: “La regola dei fuoriquota nei dilettanti ha fatto solo danni. Vediamo giocare solo esterni e portieri. Un ragazzo, se è pronto per giocare in prima squadra, gioca. Anche a 16 anni, Verratti docet”.
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