Prima squadra

Di Francesco racconta: "Gli aneddoti del mio Pescara, lo Zeman biancazzurro e il mio futuro"

Il grande ex a Il Messaggero ed. Abruzzo

12.06.2020 08:58

Una lunga e interessante chiacchierata: è quella che si è fatta Eusebio Di Francesco, grande ex biancazzurro, con il Messaggero ed. Abruzzo, svelando tanti aneddoti peculiari e qualche piccolo-grande segreto della sua esperienza in biancazzurro. Con piacere vi riproponiamo in versione integrale, con stralci nemmeno apparti sul quotidiano, dell' "Eusebio pensiero". Buona lettura!

Il 12 gennaio viene esonerato Cuccureddu, all’indomani di un pesante ko casalingo nel posticipo tv contro la Cavese (1-2). E’ l’inizio della sua ascesa. Com’è andata? “Periodo in cui mi si avvicinavano alcuni giocatori della prima squadra per dirmi se mi sarebbe piaciuto allenarli. Io dicevo sempre che ero venuto per allenare nelle giovanili. Ero a Varese per il Master, giornata di aggiornamento lì con Sannino. Sebastiani mi chiamò che volevano parlarmi. Tornai immediatamente per parlarci e decisi di iniziare quest’avventura. Vedevo i giocatori che si fermavano a vedere miei allenamenti. Feedback positivo e cavalcai la situazione. Mai, all’inizio, avrei pensato. Non ero partito per quel presupposto. Società nuova, cercato di fare squadra importante, ma non significa vittoria. A volte bisogna fare scelte legate a giocatori di categoria e quell’anno preso tanti di categoria superiore. C’era una situazione non facile per classifica e morale, c’era tanta pressione sulla squadra e ho cercato di togliere pressione su di me. Come si fa a dare squadra a uno che non ha mai allenato? Io riuscì a creare rapporto con loro prima di tutto, umano e lavorativo. Momenti di difficoltà, ma andai per la mia strada. Credendo di recuperare punti al Verona, da -8 a sfiorare la B diretta”. Solo due sconfitte in 19 partite (contro Ternana e Portogruaro), 15 di campionato e 4 di play-off. “Sconfitte salutari, di crescita mi aiutarono a capire meglio la strada. La grande forza fu nell’equilibrio generale, stare in campo e fuori dal campo. Quello che vorrei sempre da una mia squadra. Mi piace attaccare, ma farlo con equilibrio per riprenderla dubito e difendere insieme. La bilancia, capacitò di attaccare e difendere tutti insieme. L’aveva acquisita nell’ultimo mese e mezzo”. Il gol di Ganci. Il boato. Esplode la festa. Cosa ricordi di quei momenti? “Aneddoto. Quand’eravamo in ritiro per queste ultime partite, c’era Flavio Bottarini che portava allo staff un chilo di gelato. Successe, quella volta, che portò il gelato e i camerieri per errore lo misero al tavolo dei giocatori. Guardai Claudio, feci finta di niente. Mi misi a guardare. Nessun giocatore osò prendere una pallina di gelato. Sapevano che non si poteva sbagliare nulla. Nelle ultime gare, ai play-off, sbagliammo poco e niente. Periodo eccellente. Ero tranquillo. Sicuro delle potenzialità, ci sentivamo forti. Partita in mano, eravamo noi la squadra che poteva vincerla. Anche dopo il gol difeso con grandissima sicurezza e tranquillità”. Verratti-Swarowski e Inglese. Due ragazzini allora, due campioni affermati oggi. “Di Verratti ricordo che si allenò pochissimo per problemi al ginocchio. In una partitina, mentre giocava, io sorridevo: vedevo un talento di questo piccoletto che dribblava tutti con facilità unica. Uscire da situazione di difficoltà impressionante. Gestione palla che pochi hanno al mondo. Mi impressionò per questo. Aveva sempre giocato trequartista, pian piano lo misi esterno nel 4-4-2, poi lo abbassai ulteriormente quando acquisì capacitò tattica e di lettura. Oggi lo ritrovo lì, ci avevamo indovinato. Lo allenavo in Berretti, un ragazzo caratterialmente introverso, ma con grandi mezzi. Faceva esterno nel 4-3-3 o 4-2-3-1. Ha trovato la dimensione da centravanti, lo feci debuttare perché lo vedevo bene, ma anche per dare un segnale ai miei attaccanti, non guardavo in faccia a nessuno. Dopo le due sconfitte”.

L’anno dopo in B play-off sfiorati. Quanti rimpianti? “Potevamo fare qualcosa in più. Ma il primo anno c’è adattamento. Le società fanno gli obiettivi delle squadre. Mi chiese una salvezza tranquilla ed è quello che abbiamo ottenuto. Gruppo unito, potevamo fare qualche punto in più. Ma potenzialità erano quelle lì. Volevo cambiare sistema di gioco e allora continuai con il 4-4-2”. Poteva continuare sulla panchina biancazzurra, poi è arrivato il Lecce. “Il presidente mi aveva offerto tre anni di contratto, ma essendo anche di qui, pensavo di aver fatto quello che dovevo fare a casa mia e mi sentivo di osare. E’ andata male, ma è stata esperienza importante. Affrontare l’avventura, alla fine consigliai Zeman di incontrare Zeman a Delli Carri e al presidente, e nacque un grande amore. Si rese disponibile. Io gli ho dato la base”. E’ vero che è stato lei a contattare per primo Zeman? “La feci con Delli Carri, in vivavoce. Pescara? Mi piace, ne possiamo parlare…”.

Quant’è cambiato il Pescara in questo decennio? “Abbia trovato una solidità, cambiate tante cose in società, ma negli anni ha ottenuto due promozioni in A, una dalla C alla B. Momenti difficili, ma per quelle che sono le potenzialità tecniche e economiche, sta dove stare. Ha avuto possibilità di tornare on A, ha lanciato allenatori giovani e dato tante occasioni. Presidente che osa, a volte si è premiati a volte no. Ma certi rischi bisogna saperli prendere, lui ha personalità per farlo”. “Sicuramente sì, ci saranno meno guadagni facili, credo anche tante restrizioni, come le aziende. Si cercherà di risparmiare e tutti si dovranno adeguare. Sarà così per tutti”. “Rispettando le regole, cercando di sfruttare questo periodo morto per studiare e migliorare e aggiornarmi. Lavorare sulle lingue, aspetto psicologico che mi interessa tantissimo. Segnato dal dolore che tutti hanno vissuto. Io fortunato a non aver avuto cari che sono stati male o sono deceduti, il rammarico di tanti non poter salutare i propri cari scomparsi. Il bollettino giornaliero, le bare a Bergamo… ”. Ora è anche un giovane nonno: Federico è diventato papà nei mesi scorsi del piccolo Tommaso. “Ho ripreso e sto recuperando adesso. Si riapprezzano le cose semplici, che prima sembravano la normalità. Anche una cena con gli amici e i cari. L’ho rifatta con i genitori dopo due mesi e mezzo”. Quale futuro per il club biancazzurro? “La politica di lavorare sui giovani è il futuro, mettendo esperti e di categoria che possono aiutarli nella crescita. I giovani devono migliorare il desiderio di competere e migliorarsi. Più ambiziosi, ma non parola fine a se stessa, ma attraverso il lavoro e il miglioramento. Bisogna prepararsi, Pescara è il posto ideale: ambiente giusto, ma devi portare risultati per una tifoseria importante che crede di poter andare in A e migliorarsi. Squadra pimpante giovane senza paura credo sia il futuro per il Pescara”.

E per lei? “Dopo un periodo in cui ho fatto scelte discutibili, ora ho grande voglia di scegliere con maggiore ponderatezza e avere opportunità prima possibile di rientrare. Ho molta voglia di rimettermi in gioco”. Meglio una rivincita in serie A o un’avventura stimolante all’estero? “Rivincita? Non parto mai da questo, vorrei allenare. Un posto che mi entusiasmi e mi dia il piacere di starci. Anche all’estero. E se non è oggi, sarà domani: ho questo desiderio”.

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