Andrea Zorzi: "Il mio sogno, la mia carriera"
Premio Rocky Marciano per un grandissimo del volley mondiale
Alzi la mano chi non conosce Andrea Zorzi. Anchi coloro che sono a digiuno di volley, almeno di nome conoscono "Zorro", l'eore nazionale della disciplina. E' stato uno dei perni della della cosiddetta “Squadra del Secolo”, ovvero la Nazionale Italiana Anni Novanta composta dalla “Generazioni di Fenomeni”, ha un solo grande rimpianto: l’Oro Olimpico, sfuggito alla più forte squadra di tutti i tempi in due circostanze (1992 e 1996). La sua carriera, che è anche diventata uno spettacolo teatrale, è stata celbrata al Premio Rocky Marciano 2017 a Ripa Teatina. Ne abbiamo approfittato per scambiare due chiaccheire con il mostro sacro del volley italiano.
GLI INIZI - "La passione per la pallavolo è nata per l’altezza. Un professore del liceo mi disse "Ma sei così alto, perché non provi a fare pallavolo?". Potevo scegliere tra volley e basket, ma la pallavolo era lo sport più vicino a casa mia e optai per quello. Iniziai tra l’altro molto tardi, a 16 anni, ma in un periodo fertile per la disciplina: la Federazione puntava sui giovani. Iniziò insomma tutto per gioco: sentendomi a disagio per la mia altezza, stando in mezzo ad altre persone come me mi aiutava ad essere più tranquillo e rilassato. Da una scelta casuale sono venuti fuori risultati più che soddisfacenti, l’altezza da punto di debolezza è diventato il mio punto di forza. Mi ha portato a vincere tanto negli anni ’90 e a stare in un gruppo meraviglioso"
LA CARRIERA - "Noi atleti abbiamo una vita particolare, siamo costretti ad avere una seconda carriera, prima o poi, cioè quando anagraficamente siamo ancora giovani ma sportivamente vecchi. Dobbiamo uscire dalla nostra precedente identità per trovarne una nuova. E queste reunion come il Marciano sono piacevoli, anche per vedere con gli occhi della maturità il nostro passato. Non nego che all’inizio l’argento ad Atlanta’96 lo vedemmo tutti come una maledizione, fu molto doloroso. Adesso lo guardo con dolcezza, dopo aver passato anni ad elaborare la delusione e a rimuginare. Con gli occhi dell’uomo adulto e con il tempo ad aver messo la giusta distanza, noi ragazzi di quel gruppo viviamo quella sconfitta in finale come un modo per essere più vicini tra noi. Non ci vergogniamo. Abbiamo avuto tutti una grande carriera. Se penso ai miei primi grandi successi, il Mondiale e l’Europeo, ricordo le sensazioni travolgenti. Erano i sogni da bambino che venivano realizzati, emotivamente sono le vittorie alle quali sono più legato. Visceralmente, perché vissute di pancia. Le successive sono state altrettanto belle, ma vissute con la razionalità. Quindi più di testa, come conferma di un gruppo che cambiava allenatori e giocatori ma che continuava a trionfare"
ZORZI ATTORE - “La leggenda del pallavolista volante” è il titolo dello spettacolo teatrale che ha portato in scena con oltre 100 repliche. "Parlo delle vicende sportive dei miei anni, degli atleti di quella generazione, contornate dalla mia storia, dell’infanzia e dell’adolescenza un po’ complicate per via della mia altezza. Ma di autocelebrativo c’è solo il nome. Insieme a Nicola Zavagli, regista e autore dello spettacolo, e a sua moglie, l’attrice Beatrice Visibelli, amici con i quali andavo al mare, non ci siamo limitati a raccontare quindi la cronaca sportiva, ma abbiamo voluto dare un quadro generale», racconta. «La mia scelta personale di portare la mia vita sul palco è stata casuale, non immaginavo né di diventare un attore né di raccontare questa storia in questo modo. E’ fuori un copione importante e fertile e si decise di provare a metterlo in scena. Così mi sono ritrovato a raccontare pezzi della mia vita, anche molto ironici e divertenti, con tutta la sincerità di cui sono stato capace"
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